Fin dall’inizio del nostro incontro, per interpretare la storia della Congregazione in questo triennio di preparazione al centenario del carisma paolino, abbiamo fatta nostra l’interpretazione che don Alberione, in Abundantes divitiæ gratiæ suæ, dà degli inizi e dei primi quaranta anni di esistenza della sua opera fondazionale, descrivendola come una “storia sacra”, “una duplice storia: la storia delle Divine Misericordie ….e la storia umiliante della incorrispendenza all’eccesso della divina carità” (AD, 1).
La liturgia della Parola di oggi ci ricorda e ci fa approfondire il valore soprannaturale della fatica umana e, dunque, anche la dimensione spirituale dei lavori svolti in questi giorni. Sentiamo così di continuare ad essere oggetto delle “abbondanti ricchezze di Dio” e, al tempo stesso, avvertiamo l’urgenza apostolica che emana dalla sensibilità apostolica del giovane Alberione quando scrive: “si sentì profondamente obbligato a prepararsi a fare qualcosa per il Signore e gli uomini del nuovo secolo, con cui sarebbe vissuto” (AD, 15).
Di fatto, parla anche di noi, quando il Primo Maestro proiettandosi con il suo “obbligo” missionario, scrive: “Vagando con la mente nel futuro, gli pareva che nel nuovo secolo anime generose avrebbero sentito quanto egli sentiva” (AD, 17) e che “associate in organizzazione” avrebbero potuto offrire un’alternativa di fede alla perdita dei valori cristiani delle masse.
I nostri primi passi per elaborare e realizzare un piccolo Progetto apostolico e formativo triennale per il GEC, sono frutto del convergere della fatica umana per la ricerca della volontà di Dio. Ci auguriamo che la “sapienza di Dio ci sia venuta incontro” quando ci siamo messi “per le strade” riaffermando la centralità della missione come guida per l’elaborazione del nostro Progetto. La Congregazione, in questo triennio, riacquisterà slancio se sarà “ravvivata” la passione per la missione di evangelizzare nella comunicazione con tutta la comunicazione attuale.
Del resto, ci sentiamo in piena sintonia con la Chiesa che è stata mobilitata per il 2012 e 2013 da Benedetto XVI per progetti di “nuova evangelizzazione” e di “riscoperta dei contenuti della fede con le conseguenze di una carità creativa”. Abbandonare, mutare o attenuare l’impegno apostolico nella comunicazione che caratterizza la nostra Congregazione è come sfilare incautamente o rompere volutamente il filo che tiene unite le perle di una collana: ogni elemento perde il suo senso che gli veniva attribuito dall’appartenere ad un’unità. La missione è il polo unificatore di tutti gli aspetti della vita paolina, se scompare questa bussola, anche la spiritualità, la formazione, la vita comunitaria non sanno più orientarsi.
La sapienza divina sta in compagnia di chi la cerca: “Chi si leva per essa di buon mattino non faticherà, la troverò seduta alla sua porta”. Occorre dare il primato alla missione paolina, fin “dal buon mattino”; collocarla in altri periodi successivi della giornata, sarebbe farle perdere l’opportunità della sapienza e della prudenza.
L’insegnamento sulla prudenza nell’attendere la venuta del Signore contenuto nella parabola delle 5 vergini prudenti e delle 5 incaute, può essere parafrasato per applicarlo anche all’impegno di “ravvivare il carisma paolino” durante questo triennio. Abbiamo bisogno anche noi di procurarci olio di riserva per i tempi lunghi del nostro carisma. Il Primo Maestro ci ha lasciato l’esempio e delle indicazioni programmatiche molto chiare: ha iniziato con la buona stampa, poi si è aperto agli altri mass media fino a lasciare ai Paolini di tutti i tempi la consegna: “predicare il Vangelo di Cristo con i mezzi più celeri ed efficaci di ogni epoca storica”.
Gli sviluppi della comunicazione e l’apparizione di nuovi linguaggi sono la locomotiva che mantiene giovane il nostro carisma perché lo trascina verso il futuro. La comunicazione è una forma di “conversione continua” per il nostro carisma che spiega il costante invito: “protendersi in avanti”. La comunicazione è il più importante “segno dei tempi” per noi Paolini. Se blocchiamo alla Congregazione l’orizzonte delle forme comunicative con le quali può evangelizzare nella differenza dei periodi storici, progressivamente diventeremo insignificanti anche nelle altre componenti del carisma paolino.
Abbiamo bisogno anche di una “riserva d’olio” per la lampada del carisma paolino per non cadere in un malinteso nefasto per noi: pensare a “ravvivare” solo le forme di comunicazione per l’apostolato. Dopo l’epoca dei mass media, dopo che le tecnologie di comunicazione hanno favorito un cambiamento culturale, sarebbe superficiale considerare il linguaggio digitale solo come una nuova forma di comunicazione senza vederne le conseguenze sulle persone e la società.
Il Primo Maestro ha elaborato un “progetto di nuova evangelizzazione” con la stampa e i mass media scegliendo e facendo convergere una particolare spiritualità, una specifica pastorale vocazionale, una formazione “integrale”, uno stile di vita comunitaria e un’interpretazione particolare dei voti religiosi. La Congregazione oggi, sull’esempio del Fondatore, ha il compito di elaborare “un progetto di nuova evangelizzazione” per il linguaggio digitale, conoscendo le tecnologie di comunicazione, ma anche riflettendo su come adeguare l’esperienza spirituale, i contenuti e le metodologie formative per le giovani generazioni, lo stile di vita comunitaria e la valorizzazione dei voti religiosi.
“Vino nuovo in otri nuovi”: dobbiamo riflettere sul fatto che le generazioni paoline più avanti negli anni, sono state formate per l’evangelizzazione con la stampa e gli altri mass media; oggi le giovani generazioni hanno il diritto di essere formate per l’evangelizzazione con le tecnologie digitali.
Per “ravvivare” la lampada del nostro carisma, abbiamo bisogno di chiedere come dono l’atteggiamento delle 5 vergini prudenti perché non siamo noi i proprietari della durata del carisma, ma possiamo collaborare alla sua giovinezza. La riflessione di San Paolo sulla venuta del Signore ci conforta per essere attivi collaboratori di Dio e non abbandonarci all’ozio del pensiero e delle opere.
Ripeteva il Primo Maestro: “Vi sono articoli nella Costituzioni che non permettono alla Famiglia Paolina di invecchiare o di rendersi inutile in società: basterà che siano bene interpretati e resi operanti; sempre si avranno nuove attività indirizzate e poggiate sopra l’unico apostolato” (AD, 130).